Uçhisar, Kapadokya: montagne basse basse che denunciano la loro erosa antichità mentre, dentro, tra le pieghe e gli avvallamenti, natura e uomo si con-fondono contendendosi la loro parentela creatrice.
Anche qui, come in tutti i luoghi che finirò per toccare di questa terra a me sorprendentemente verde e rigogliosa, alle 4 del mattino mi sveglio accompagnato dal cantare stridulo del müezzin e prego con lui... affinché gli prenda almeno una colite.
Durante le ore meno assonnate (il canto si accende ai canonici appuntamenti i cui i fedeli dovrebbero pregare: al sorgere del sole, quando il sole è allo zenit, prima del tramonto, al tramonto e, l’ultima, nell'arco di tempo compreso tra la fine del tramonto e prima dell’alba) queste campane umane invece mi affascinano e resto incantato ad ascoltarle giocando a immaginare improbabili traduzioni.
Non resta che alzarsi mentre ancora il buio ottenebra le cose e un filo di luce per contro le rischiara. Deve essere l’ora migliore per assaporare questi monti traforati che tutti mi hanno decantato, perché, se non ho intuito male, appena s’alza il sole il caldo si fa insopportabile e conviene ripararsi all'ombra di un ristoro con tea e rinfrescanti vari.
Così, con l’auto presa a nolo (dico auto per capirci, in verità è una sorta di Fiat 126 rimontata male, Frankenstein verdognolo della meccanica locale che fa ridere anche gli indigeni che mi segnano a dito, ma che alla fine era la sola il cui prezzo mi sembrava accettabile: 50 lire), gironzolo qua e là cercando di non perdermi per queste strade dalla segnaletica incerta e, per di più, in lingua aliena.
Ecco dunque quello che chiamano il castello che è, appunto, una montagnola che antiche popolazioni si sono divertire a traforare ricavando stamberghe per il corpo e la libagione, mentre più in là, a Göreme, i buchi si fanno più villaggio, anche con grotte adibite a chiese in cui fanno bella mostra diversi affreschi di santi e santoni abbastanza ben conservati, se non per la facce evidentemente cancellate con un punteruolo o qualcosa di simile, immagino a tributare la proibizione islamica alle raffigurazioni del Divino & Co.