Fuga da Istanbul: "Thinking on the bus"


Per comprendere un poco il mondo che attraversi è fondamentale calarsi il più possibile nel mondo che attraversi, pur sapendo che, se non gli appartieni, ne rimarrai comunque estraneo e straniero, ma almeno ci hai provato.

Mi fanno orrore quelli che dicono di essere stati in un qualsiasi luogo della terra e poi scopri che hanno passato il più del loro tempo in un pullman pieno di connazionali, guardando film in lingua madre mentre fanno la spola tra un sito archeologico e un albergo con cucina internazionale per nutrirsi delle stesse cose con cui si nutrono a casa loro (cibo compreso), con sola variante quella sera esotica che (“Ah, sapessi!”) l’originalissima organizzazione dell’hotel ha chiamato “Serata Turca”: porcata assoluta in cui tutti si vestono da beduini, si mangia per terra con le mani e si fa notte consumando in poche ore centinaia di nefasti e blasfemi luoghi comuni.

La comodità uccide l’esperienza. È figlia del “già visto” e “già provato” e nipote del “mi rassicura”. Nulla insomma che abbia a che fare con il viaggio, che è invece immersione e scontro con la distanza della diversità, è la fatica di sostare in abiti e abitudini che non solo non ti sono familiari, ma che a volte fatichi anche ad accettare, insomma: chi sei tu per giudicare un popolo intero che non usa il bidè o, meglio che, giocando al risparmio, ha integrato bidè e water-close inserendo in quest’ultimo un piccolo rubinetto proprio al centro della tazza per mirare bene il buco del culo e assolvere in una sol seduta tutte le funzioni? E peccato che il getto non è abbastanza potente se no, intanto che ci sei, potresti lavarti anche i denti e tutti gli orifizi sarebbero accontentati.

Ma forse non può essere che così. Questo turismo, incapace di rinunciare alle sue comodità e ai suoi modi di vivere, è figlio di una tradizione millenaria che considera il corpo solo un involucro per portarsi appresso il cervello. Per questo il nostro corpicino non deve essere turbato, ma permanere in quello stato di rassicurante abitudinarietà in cui è sedato tutto il resto dell’anno. Un corpo aviotrasportato e pullmizzato e vezzeggiato e coccolato proprio come fosse a casa, perché viaggiare per il turista si risolve tutto nel vedere, non nell'esserci che, come scriveva qualcuno, è qualcosa di più del semplice essere presenti.

Quel che desidera il turista è che la banale ripetitività della sua vita sia trasferita paro paro in uno scenario diverso dove appunto muti la forma ma non il contenuto. Per questo non è in grado di accettare l’imprevisto che, invece, il viaggiatore anela perché è proprio in tutto ciò che non posso pre-vedere che s’apre la possibilità della scoperta e, in ultima analisi, di vedere per davvero.


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Sono qui raccolti, in forma narrativa, i viaggi di Massimo Silvano Galli alla scoperta di questo e altri mondi con le sue strane forme di vita e civiltà, fino ad arrivare là, dove nessun uomo è mai giunto prima.