Ora le cose che hanno fatto l'estate si raccolgono lente sotto il tuo sguardo, già in attesa che, altrove, settembre, schiuda le sue mani sull'autunno. Un viaggio, anche questo, tra cumuli di vita della casa vacanziera, scovando oggetti che invocano il raduno, mentre mormora l'ansia del restare, nostalgia di attimi trascorsi tra suppellettili avvezzi all'abbandono...
Quel cucchiaio che avevi eletto a "tuo" per la colazione del mattino...
Il bricco rosso smaltato che al risveglio cucinava il succo vaccino e la moca col manico ustionato, scordata troppe volte alla graticola...
La tazza giallo canarino, con quella piccola beccatura sul manico che accoglieva il latte e i pensieri primi, mentre l'iride fuggiva oltre la finestra subito divaricata a catturare tutto il cielo e le montagne: cartonati sospesi in un film a tre dimensioni...
L'asse di legno su cui ti sei chinato mezzogiorno e sera a tagliare il pane per la mensa, con quella macchia al liminare che sembra un gatto arrotolato...
Il piccolo scrittoio che hai messo davanti alla vetrata e su cui, proprio questa estate, hai passato ore a lordare pagine d'inchiostro, mentre gli occhi, ogni po', per stanchezza o atteggiata ispirazione, s'alzavano a scrutare il panorama...
I colori e i pennelli, questa volta manco toccati, rimasti chiusi nella bella scatola di un mangiato panettone che, speranzoso, avevi anche messo a portata di mano e che ora riponi, con un po' di rimpianto, in alto sull'armadio dove stava...
La vecchia credenza della camera da letto dove si sono radunati boccettini, creme, chiavi, monete, deodoranti e ogni oggetto altrove ingovernabile: ristretto universo caotico e sregolato a cui ogni giorno tentavi (tu, piccolo sub-dio) di dare un senso e che ora piano si deserta, tirando affaticata un sospiro di sollievo...
Le sdraio su cui, in pieno e assolato pomeriggio, concedevi al tuo corpo un po' di sole, trascinate alla mansarda pensando che, tanto, a Natale, quando tornerai, non serviranno ancora...
Il vestiario stagionato dedicato a questi monti, già per sé memoria di un tempo usato, che torna mesto nell'armadio, scampato anche quest'anno alla discarica...
L'improvvisata libreria che ogni anno si rinnova coi colori degli ultimi libri che in questo scorcio di tempo hai consumato, attendendo che il sonno giungesse a ristorarti: storie d'altri che ora sono tue e domani dei viandanti che verranno...
La sedia coi braccioli che la sera, appena dopo cena, trascinavi sul terrazzo, lasciando che il tramonto illanguidisse il cuore in quel silenzio tipico dei monti, solo disturbato dal latrare del cane della cascina lì sotto o da un ipnotico muggire cadenzato...
Il nido, sotto la tettoia, quello che ogni anno fabbricano le rondini, (che se poi piove o tira vento ti chiama ansioso a controllare), col suo piccolo foro dove, anche questa volta, hai avuto la fortuna di vedere sbucare la testina bianconera, ancora incapace al volo, scrutarla trepidante l'attesa della mamma con il pasto...
E gli scuri, ogni notte appositamente invalidati affinché la mattina ti scuotesse di buon ora...
E per ultime le scarpe da cammino arrampicato, quelle con l'allacciatura alta, ora pulite da sassi e da fanghiglia, ritrovano la loro piccola tomba di cartone e aspetteranno, loro pure, che un'altra estate ripeta il miracolo della resurrezione d'ogni piccola cosa, d'ogni piccolo monotono gesto che, ora che rassetti, diventa ragione di pensiero.
Non c'è capodanno come quello che segna la fine d'ogni estate e obbliga la mente a fare i conti con la vita. Ma adesso basta... altra vita va cominciare.