Zuleica ricalza i texani. Ora vuole camminare. Dice: "Vieni," ma non chiede e non attende, non perché sia avvezza a comandare ma, abituata a fare, ha incarnato questa spinta solitaria che da tutto e tutti la prescinde e per questo è già più in là di un passo, con ancora l'esortazione che sballonza nella bocca, mentre il coprispalle torna al suo dovere e i jeans, che le tatuano la pelle, completano finalmente il suo profilo pieno.
Ma "vieni" dove? Penso io. Ma intanto, rapito, mi incammino e la seguo: lei chiacchierina, io taciturno, come vuole il copione del turista e la sua guida: occhi spalancati a rimirarmi attorno con stupore, o finto tale e, comunque, compiaciuto di tanta novità che sguardo mai aveva contemplato, mentre lei, con dovizia di particolari, sagoma a parole ciò che l'occhio non vede e il cuore -ahimè- non duole.
Così, in un attimo cinematografico che pare eterno, l'uomo bruno e la donna mora si allontanano dalla mia specola e, nel loro amplesso, per ora solo biografico, che non a caso la bibbia chiama "conoscenza", piano si consuma lo scorcio di meriggio che il destino gli ha donato e un lieve imbrunire adombra le figure.
Li seguo, finché lo sguardo regge l'orizzonte e la luce del crepuscolo e, mi sembra che, a un certo punto, si prendano per mano... o, forse, così, mi piace immaginare.
The End, of the trip to Lisbona