Zuleica fa la commessa in una libreria del centro e quando, come oggi, ha il pomeriggio di riposo, le piace venir qui sul lungotago, a meditare al sole, lasciando che il chiacchierio dei turisti e degli autoctoni crei quel sottofondo che illanguidisce il cuore.
("Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese, non c'eran parole, rumori soltanto come voci sorprese, il mare soltanto e il suo primo bikini amaranto, le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle...")
È laureata in lingue e letteratura straniera e conosce Mr. Tabucchi, di cui ha seguito diversi seminari e che, mi informa, è sepolto qui, nel cimitero di Dos Prazeres, cosa che francamente ignoravo (e che -ciò detto- da questo momento continuerò a ignorare, sicuro che farà felice anche il poetico Antonio)...
"Sì, vabbe',Tabucchi, e poi, qualche altra fregaccia?!"
"Ma che vuoi? È la mia finzione! Potrò farci quel diavolo che voglio, o no?" azzittisco lo spirito critico e tutto razionale che alberga a lato della creatività facilona e vorrebbe tutto cucire col doppio filo del verismo.
Dunque, dicevo... Zuleica parla correttamente tre lingue, tra cui, presumo, l'italiano, il che giustifica la nostra comprensione e il fluire del linguaggio che ora ha preso a tracimare nel reciproco chi siamo e che facciamo e dove e come e quando... -e forse è questa la vera differenza coi monumenti non in carne e ossa: loro non parlano e non ascoltano. Zuleica, invece, parla, eccome. Si sente che le piace dar fiato alle parole e lasciare che si involino come palloncini d'elio in fuga. Si lascia esplorare facendosi guida turistica di sé, il che non le impedisce di fermarsi a chiedere e curiosare, come se, lasciandosi penetrare, volesse penetrarti.
Ha tre fratelli, tutti via, in qualche luogo remoto del mondo, sud America, immagino (probabilmente quel Brasile che spinge come un treno sull'acceleratore del capitalismo emergente), e una madre: stanca e anziana, di cui lei si fa badante. Il padre no. Lei non dice e io non chiedo. Forse scappato quando era troppo piccola per ricordare, o troppo grande per perdonare, magari morto, chissà... comunque manca nel suo elencare, così come non v'è traccia di fidanzati, sposi, compagni vari, magari invero assenti o forse solo omessi per la necessità della circostanza: flirtare con l'egoico narrante, che certo non può immaginar rivali.
E, in affetti, a un certo punto del ciarlare, accenna a un certo Joaquin, probabilmente lo stesso che la accompagna tatuato al piede, ma -appunto- il di me narrante si avvede bene di ignorare, come un marito già geloso, un amante permaloso. Ma è possibile essere già a 'sto punto? Eppure, questo capita con i capolavori dell'arte, anche se non sei Stendhal e lei non ha cornici che la imprigionino in un immobilismo eterno.
È stato quando, maldestramente, siamo finiti a parlare di teatro che è venuto fuori 'sto Joaquin, non ho capito se attore o regista della compagnia amatoriale in cui Zuleica si diletta a mettere in scena le grandi opere della drammaturgia mondiale, con una certa predilezione, mi pare di intuire, per il repertorio -nemmeno a dirlo- brechtiano. O forse, no, forse solo un'esperienza che l'ha salvata da un amore finito male, Joaquin, appunto: registra sì, ma di una tragedia tutta personale che ora quel tattoo rimane a ricordare, come certi fregi sui marmi delle chiese, iconoclastia che interroga il fruitore e, mai come in questo caso, aggiunge vita, a ciò che rischia di restare per sempre solo bello.
C'è, infine, un'ultima stanza che, in questo andare a zonzo tra i pensieri, mi accompagna a visitare: una specie di cantina, una segreta, come quelle in cui si tenevano i devianti della legge o della mente. Zuleica lì ci nasconde Ana. Anche se, in verità, non la nasconde affatto, anzi, ne estrae piano l'icona immacolata pigiando "foto" sul suo smartphone e ne esce una bimba di 5/6 anni, bionda come un campo di grano: "Come Susana," dice lei, "che se l'è portata via un cancro. E io potevo lasciare questa creatura da sola?" e capisco che qui sta il nodo che lei ha stretto e da cui Joaquin si è sciolto.
Poi basta, tutto il resto è solo presente.